(di Eleonora Giampiccolo) | Riprendiamo, dalla fine del XVII secolo, la nostra storia della piastra papale. La riforma amministrativa della zecca, che abbassava drasticamente gli stipendi, e che portò alle dimissioni dell’Hamerani, come già accennato, vide agire a Roma nuovi incisori altrettanto validi, tra cui si segnalarono due stranieri: Ferdinand de Saint Urbain e Pietro Paolo Borner. Ferdinand de Saint Urbain era nativo della Lorena. Dalla sua patria fu costretto ben presto a fuggire in seguito agli eventi bellici del tempo, trasferendosi in casa del marchese Albergati a Bologna, ove diede ben presto segno della propria bravura nell’arte dell’incisione, tanto da essere assunto nella zecca di quella città; da lì partì alla volta di Roma dove, dal 1698, divenne incisore capo; del resto, già altre volte, a partire dal 1692, era stato a Roma per brevi periodi. Notevole la produzione del Saint Urbain e di alto valore artistico, come ad esempio la piastra celebrativa dell’Anno Santo 1700 che, secondo Giancarlo Alteri, “presenta, al dritto, un vigoroso ritratto del Pontefice, di cui l’artista non nasconde la sofferenza fisica, e, al rovescio, la Porta Santa tra due angeli tubis jubilaeum festivitatem ebuccinantes […] cioè nell’atto di suonare le trombe, di sapore alquanto baroccheggiante” (fig. 1). Ma notevole anche la mezza piastra commemorante la Pace di Rjswjick del 1697, in cui compare, elemento insolito per la numismatica, l’Arca di Noè rappresentata secondo il dettato biblico nei suoi aspetti tecnico-costruttivi, eppure pervasa da un’aura “fantastica” (fig. 2).
Figura 1 (source: Biblioteca Apostolica Vaticana) Figura 2 (source: Biblioteca Apostolica Vaticana)