(di Leonardo Mezzaroba) | Con un grande concerto tenuto presso il Teatro “La Fenice”, il 29 marzo scorso si sono aperte a Venezia le celebrazioni per i cinquecento anni della storia del Ghetto nella città lagunare. Proprio il 29 marzo 1516, infatti, sotto il dogado di Leonardo Loredan, il Senato della Serenissima stabiliva che tutti “li giudei debbano abitar unidi” in una zona ben delimitata della città, denominata Ghetto. Come è noto tale nome derivava, con ogni probabilità, dalla preesistenza, in quella località, di fonderie di cannoni, dove appunto si eseguiva il “geto” o colata del metallo. La denominazione “ghetto” sarebbe stata poi adottata anche nelle altre città d’Europa dove esisteva una consistente comunità ebrea.
Il Campo del Ghetto Nuovo, un’immagine delle tipiche case del Ghetto di Venezia a più piani e il catalogo della grande mostra inaugurata a Palazzo Ducale il 15 giugno 2016
Nel corso di questo 2016, il Comitato “I 500 anni del Ghetto di Venezia” ha coordinato tutta una serie di iniziative; tra le più significative è la mostra “Venezia, gli Ebrei e l’Europa. 1516-2016”, inaugurata a Palazzo Ducale il 15 giugno e accompagnata da un catalogo ricco di importanti contributi. È stato inoltre previsto il radicale restauro del Museo ebraico. Purtroppo non risulta che la circostanza sia stata accompagnata da particolari emissioni in ambito numismatico e medaglistico; in questo articolo però si è voluto tributare un simbolico omaggio a un anniversario tanto importante, presentando una serie di medaglie-placchette legate a un particolare momento della storia del Ghetto di Venezia. Le medaglie furono realizzate nel 1980, ma ebbero scarsissima diffusione e rimasero praticamente sconosciute. Solo recentemente la serie è riapparsa in un noto sito di vendita e aste on-line.
Arbi Blatas al lavoro nel suo studio, il disegno “La punizione” (1978) e il volume pubblicato nel 1979 per presentare Blatas e il suo “Monumento all’Olocausto”
Si tratta di un gruppo di sette medaglie riproducenti i singoli bassorilievi che costituiscono il cosiddetto “Monumento all’Olocausto” di Arbit Blatas, collocato nel campo del Ghetto Nuovo. A queste si aggiunge una ottava medaglia-placchetta che va a chiarire quando, da chi e per iniziativa di chi venne realizzata questa serie. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ripercorrere la storia del “Monumento all’Olocausto” e del suo autore: Arbit Blatas, la cui opera, nota a livello mondiale, ha percorso l’intero Novecento. Arbit Blatas (pseudonimo di Nicolai Arbitblatas) era nato in Lituania nel 1908 da una famiglia ebrea. La sua precoce vocazione artistica lo portò ben presto a Parigi dove divenne esponente della cosiddetta “Scuola di Parigi”, assieme ad artisti quali Picasso, Chagall, Matisse, Modigliani, coltivando la pittura e la scultura. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale lo costrinse a rifugiarsi negli Stati Uniti; ritornò a Parigi al termine del conflitto per scoprire che i genitori erano stati deportati: la madre nel campo di concentramento di Stutthof, dove era morta; il padre a Dachau, da dove era uscito irrimediabilmente segnato. In particolare la morte del padre, cui Arbit assistette, costituì una tragedia che “lo frantumò, come una bomba a scoppio ritardato.” (R. Gruber, “Arbit Blatas: L’uomo”, in “Olocausto. Arbit Blatas”, Venezia 1979, p. 74).
Visione d’insieme del “Monumento all’Olocausto” posto su di un muro di nudi mattoni, sovrastato da filo spinato
L’angoscia di queste morti e della tragedia della Shoah rimase chiusa nel cuore di Blatas senza che egli riuscisse a darle voce, finché, nel 1978, gli autori di una serie televisiva statunitense, intitolata “Olocausto”, proposero all’artista di realizzare dei disegni che facessero da preludio a ciascuna puntata. Blatas realizzò così dodici disegni in bianco e nero (i colori mistici del suo retaggio ebraico). Nel frattempo egli aveva scelto come sua residenza privilegiata Venezia, fissando il suo studio nell’isola della Giudecca; nel 1979 decise di trasferire i soggetti dei suoi disegni in sculture: lavorò instancabilmente per quaranta giorni scolpendo i temi dell’Olocausto in sette tavole che furono realizzate in bassorilievo presso la fonderia di Treviso.
“L’ultimo treno”, il pannello realizzato nel 1989 e collocato nel Campo del Ghetto Nuovo nel 1993
L’opera suscitò notevole scalpore e venne accolta con molto interesse. Blatas e la moglie, Regina Resnik, decisero di donare il monumento a Venezia, divenuta ormai la loro città di elezione. In quello stesso 1979 venne pubblicato il già citato volume “Olocausto. Arbit Blatas”, che, oltre a presentare la figura dell’autore, descrive il monumento stesso; i proventi delle vendite del libro furono destinati al restauro delle antiche sinagoghe veneziane. Restava naturalmente il problema della collocazione dell’opera: la destinazione più naturale apparve il campo del Ghetto Nuovo. Si tratta della parte più antica e rappresentativa del Ghetto, con le caratteristiche case che arrivano fino ad otto piani; solo nel 1541 sarebbe stato aggiunto il Ghetto Vecchio e, nel 1633, il Ghetto Nuovissimo. Al campo del Ghetto Nuovo Blatas aveva riservato più volte il suo interesse, sul piano artistico ed emozionale. Per i suoi pannelli, l’artista scelse un muro di nudi mattoni, con in cima il filo spinato: sfondo ideale per la struggente crudezza della sua opera.
Particolari dei pannelli dal titolo “La deportazione”, “La notte dei cristalli”, “La cava”
Nacque così il “Monumento dell’Olocausto”, inaugurato il 25 aprile 1980, festa della Liberazione; per l’occasione il sindaco di Venezia, Mario Rigo, consegnò a Blatas la medaglia d’oro “Venezia riconoscente”. Il 19 settembre 1993, alla presenza del presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, veniva inaugurato un ottavo pannello (realizzato nel 1989), collocato però in un’altra zona del Campo del Ghetto Nuovo, significativamente intitolato “L’ultimo treno” a commemorare il cinquantenario della deportazione degli ebrei veneziani. In effetti, alle spalle del pannello, sono riportati i nomi dei 246 ebrei catturati e deportati da Venezia tra il 1943 e il 1944. Attivo fino a novant’anni, Arbit Blatas morì a New York nel 1999.
Particolari dei pannelli “La punizione”, “Esecuzione nel ghetto”, “La rivolta nel ghetto di Varsavia” e “La soluzione finale”
A ciascuno dei sette bassorilievi Blatas assegnò un titolo significativo: infatti “La deportazione” raffigura una moltitudine di uomini, donne e bambini tenuti a bada da soldati armati, mentre sullo sfondo si intravede un treno. “La notte dei cristalli” ricorda il bestiale accanimento con cui, tra il 9 e il 10 novembre del 1938, i nazisti devastarono le vetrine e case degli ebrei. “La cava” mostra un soldato tedesco in atteggiamento minaccioso, che comanda tre uomini che spingono e trascinano a fatica un pesante carro di pietre. “La punizione” propone l’immagine angosciante di due uomini, appesi per le braccia a due pilastri, a lugubre monito di chi osava disobbedire agli ordini. “Esecuzione nel ghetto” rappresenta in primo piano i soldati di un plotone di esecuzione visti di schiena, mentre sullo sfondo, contro un muro, un prigioniero sta per essere fucilato; sulla destra due civili assistono disperati. “La rivolta nel ghetto di Varsavia” ricorda, con un sovrapporsi caotico e sconvolgente di figure umane che si ribellano, implorano, minacciano, muoiono e uccidono, l’insurrezione della popolazione ebraica rinchiusa nel ghetto di Varsavia, avvenuta tra il 19 aprile e il 16 maggio 1943. “La soluzione finale” mostra, a sinistra, di spalle, un comandante nazista che ordina a due soldati di mitragliare un gruppo di cinque uomini; alla sinistra di costoro, altri due, abbracciati, attendono la morte; sulla destra, in primo piano: un cumulo di morti.
La serie delle medaglie-placchette prodotte dalla ditta Lorioli (1)
L’anno prima, Giuseppe Cipriani (1900-1980, mitico ristoratore e fondatore dell’Harry’s Bar) e il figlio Arrigo, proprietari della celebre Locanda, a Torcello, e dell’Hotel Cipriani alla Giudecca, avevano dato vita a una serie di iniziative a favore della città di Venezia, denominate “Il Cipriani per Venezia”. Per il secondo anno di attività fu promossa la realizzazione di medaglie-placchette che riproducessero ogni singolo bassorilievo; l’esecuzione venne affidata alla ditta Lorioli di Milano.
La serie delle medaglie-placchette prodotte dalla ditta Lorioli (2)
È significativo che sul rovescio di ciascuna delle sette medaglie venga riportato il titolo specifico in inglese con, in basso a destra, la dicitura ITALY: questo fa pensare a una destinazione internazionale dell’iniziativa. Un’ottava placchetta, leggermente più piccola, che riproduce nuovamente il pannello “Deportazione”, non riporta il nome dell’autore, Blatas, ma reca sulla destra, in basso, il nome della ditta esecutrice: LORIOLI. Sul rovescio, un’iscrizione in quattro righe ricorda l’iniziativa IL CIPRIANI PER VENEZIA, con l’indicazione ANNO II°, seguita dal titolo dell’opera e il nome dell’autore: OLOCAUSTO DI A. BLATAS, e infine la data 25 APRILE 1980.
La serie delle medaglie-placchette prodotte dalla ditta Lorioli (3)
Tutte le medaglie hanno le dimensioni di mm 100 x 70 ad eccezione, come si è detto, di quella recante la scritta in quattro righe al rovescio e la precisazione della ditta Lorioli, che misura mm 90 x 60. Curioso il fatto che tutte presentino lateralmente un foro a destra e a sinistra. La scheda che le accompagna spiega tale circostanza in questo modo: “L’oggetto proviene dal campionario di produzione, e presenta due fori, uno su ogni lato corto, perché era ‘fissato’ alla scheda di produzione”. Questo potrebbe far pensare che la serie sia rimasta su un piano meramente progettuale, il che spiegherebbe l’assoluta rarità di tali medaglie-placchetta.
La serie delle medaglie-placchette prodotte dalla ditta Lorioli (4)
In realtà le medaglie vennero certamente prodotte, al punto che Vittorio Lorioli, nel suo “Lorioli fratelli. 70 anni di medaglie” (Clusone 1990), inserì tra gli artisti che “lavorarono” per la ditta Lorioli, proprio Arbit Blatas e, benché si trattasse di un catalogo antologico, riportò e descrisse ben tre medaglie della serie; vale a dire quelle recanti il titolo: “Deportazione”, “Esecuzione”, “La Cava” (p. 55, numeri 135, 136, 137).