(di Roberto Ganganelli) | Ci soffermiano, in questo articolo, su una legenda abbastanza inconsueta per la monetazione italiana e che compare solo sul rarissimo doppio ducato – o testone d’oro – di Galeazzo Maria Sforza (1456-1466), quinto duca di Milano. Forma abbreviata del tedesco “Ich hoffe”, ossia “Io spero”, fu – scrive Mario Traina ne “Il linguaggio delle monete” – “divisa di Gian Carlo Visconti. In ‘Divixia Vicecomitarum’ a pagina 57 si legge: “Motto così spiegato in un diploma ducale di Galeazzo Maria Sforza del 30 giugno 1469: […] ‘Donamus arma, atque insigne nostrum leonis galeati fulvi coloris in ignem ardentis cum fustibus seu bastonis habentibus situlas aqua plenas et cum cimiero havente litteras pannonias sive anglicas HIC OF quae latina lingua interpretantur IO SPERO’” vale a dire “Doniamo le armi e la nostra insegna di un leone elmato di colore fulvo ardente nel fuoco con bastoni che hanno ampolle piene di acqua e con un cimiero che ha lettere ungheresi o inglesi HIC OF che significano IO SPERO” (Gelli, 1928, p. 254, n. 940).
La rara moneta, al rovescio, mostra per l’appunto un leone accovacciato tra le fiamme, con il capo chiuso in un cimiero sul quale appare più volte la scritta, e che sostiene il tizzone con le secchie. L’impresa dei tizzoni ardenti con le secchie fu adottata già da Galeazzo II Visconti nel 1343 circa.
Secondo Giovio il fuoco e l’acqua simboleggiano l’ardore temperato dalla prudenza e quindi l’impresa, assunta da Galeazzo al suo rientro dalla Palestina, quando seguì il conte di Hainault in Fiandra, “dopo avere atterrato un gentiluomo fiammingo del quale riportò le spoglie”, simboleggia il potere di accendere e di spegnere e quindi di portare sia la guerra che la pace, “poiché è con l’acqua che si spegne il fuoco”. Secondo Morigia, invece, Galeazzo avrebbe assunto l’impresa in Terrasanta dopo la visita al Santo Sepolcro (Crippa, 1986, II, p. 59 – F. ed E. Gnecchi, 1884, p. LXXI).