(di Leonardo Mezzaroba) | La sera del 27 aprile 1910, a Venezia, un gruppo di artisti occupava la sommità della Torre dell’Orologio in piazza San Marco e faceva piovere sulla testa dei passanti migliaia di volantini, in italiano e in francese “contro Venezia passatista”. In questo modo, alcuni tra i più vivaci esponenti del neonato movimento futurista, guidati da Filippo Tommaso Marinetti, denunciavano e irridevano la città lagunare “estenuata e sfatta da voluttà secolari […] cloaca massima del passatismo.” Per questo essi proclamavano: “Noi vogliamo guarire e cicatrizzare questa città putrescente, piaga magnifica del passato. […] Affrettiamoci a colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi. Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica, a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobigliata.”
Evidentemente il messaggio futurista, votato alla esaltazione della velocità e della modernità, era provocatorio e, in buona misura, volto a condannare l’aspetto già insopportabilmente turistico assunto dalla città lagunare. Di fatto però esso riprendeva, amplificandolo, il luogo comune del mito ottocentesco di una Venezia decadente e tagliata fuori dalle correnti modernizzatrici.
Ora, non c’è dubbio che l’Ottocento costituì per Venezia un momento di gravi difficoltà sia sul piano economico che politico. Eppure la storiografia più recente (cfr. A. Bernardello, “Venezia nel Regno Lombardo-Veneto”. Un caso atipico, Milano 2015) riconosce che già nel tanto vituperato periodo asburgico, la città lagunare seppe mostrarsi vitale e laboriosa, sensibile a tutta una serie di importanti innovazioni, che si sarebbero poi moltiplicate nella delicata fase postunitaria. Tenuto conto della complessa struttura urbanistica e ambientale veneziana è possibile anzi affermare che gli sforzi di ammodernamento condotti a Venezia, fra Ottocento e Novecento, furono forse superiori a quelli portati avanti nello stesso periodo da tante altre realtà urbane.
In questo articolo cercheremo di dimostrarlo attraverso un percorso medaglistico che andrà a toccare settori quali quelli della rivoluzione nell’ambito delle comunicazioni (navigazione, strada ferrata, viabilità automobilistica) e quello dell’ammodernamento del sistema idrico e dell’illuminazione pubblica; ma le tematiche potrebbero essere anche altre: da quella dell’industrializzazione a quella culturale.
La scelta di procedere per “argomento” ha inevitabilmente imposto un andamento cronologico talvolta un po’ disordinato; ma, di fatto, le vicende qui presentate si svolsero in meno di cinquant’anni, tra il 1838 e il 1884 (solo la costruzione del ponte automobilistico si colloca nei primi decenni del XX secolo).
Arrivare in nave a Venezia | Come è noto, per l’intero corso della sua storia “ducale”, la città di Venezia mantenne, come entrata privilegiata, la via marittima; le due colonne collocate sul molo a San Marco inquadravano, come una porta ideale, il Canale di Malamocco che metteva in comunicazione la laguna con l’Adriatico. Tale navigazione però veniva continuamente insidiata dalla formazione di pericolose secche che avevano causato l’incagliamento e l’affondamento di varie navi. Ancora, il I aprile 1783, il naufragio della nave “di primo rango” “La Fenice” bloccò il traffico nel canale di Malamocco, finchè, tre anni più tardi, il senatore Giovanni Zusto, avvalendosi dell’esperienza del direttore meccanico Agostino Morelato, riuscì a recuperare il relitto e a riportarlo in Arsenale. Nel 1787, al Morelato fu conferita, per decreto del Senato, una medaglia d’oro del valore di cinquanta zecchini (cfr. P. Voltolina, “La storia di Venezia attraverso le medaglie”, Venezia 1998, III, pp. 480-481).
Fu proprio nella prima metà dell’Ottocento che il problema della navigabilità della bocca di porto di Malamocco venne affrontato in modo radicale. Secondo i calcoli (dimostratisi poi esatti) di Pietro Paleocapa, geniale ingegnere capo della Direzione generale delle pubbliche costruzioni del governo austriaco, la realizzazione di una diga avrebbe convogliato l’acqua del mare nel canale, in modo tale che, con l’aiuto dei flussi di marea, il fondale sarebbe stato “naturalmente” scavato e ripulito.
Certo sarebbero state necessarie due dighe, una a nord e una a sud della bocca di porto di Malamocco, ma, per mancanza di fondi, Paleocapa dovette limitarsi a progettarne intanto una sola, quella a nord (dal lato Alberoni), in pietra d’Istria, lunga 2122 metri e culminante in un grande faro. La cerimonia della posa della prima pietra ebbe luogo il 13 ottobre 1838 alla presenza dell’imperatore d’Austria Ferdinando I. Costui stava visitando, assieme alla famiglia, il Lombardo-Veneto; dopo esser stato incoronato nel Duomo di Milano con la “corona ferrea” il 6 settembre 1838.
A dire il vero, la “posa” avrebbe dovuto aver luogo il 9 ottobre, ma il cattivo tempo impose un rinvio. La “Gazzetta Privilegiata di Venezia” del 15 ottobre 1838 riporta con dovizia di particolari l’avvenimento: “La giornata d’oggi [13 ottobre 1838] fu dedicata ad una grande solennità, la quale non pure rallegrò Venezia con l’esterior suo apparato, ma sì con la più bella speranza d’un fortunato avvenire, che di questa debb’essere effetto. Oggi S. M. si recò a Malamocco per gittare la prima pietra di quella diga ch’era da tanto tempo aspettata dal nostro commercio, e che dalla sola generosità di FERDINANDO doveva a lui essere conceduta. Nel luogo dello sbarco era stato eretto un elegante padiglione, da cui si dominava col guardo una lunga fila di barche, le quali con la loro bandiera segnavano il lungo tratto che per ben oltre a due mila metri occuperà in mare la diga. Quivi le LL. MM. furono ricevute da Monsignor Vescovo di Chioggia [Antonio Savorin, Nda], alla cui Diocesi è soggetto quel luogo; assistito da altri sacerdoti. Le LL. MM., presenti le LL. AA. II. RR. i Serenissimi Arciduchi, e le Serenissime Arciduchesse, con le altre persone del Loro seguito, piegarono il ginocchio sullo sgabello per Loro apparecchiato, e quivi udirono le preghiere, che in simili cerimonie suol fare la Chiesa. Appresso alle quali, si lesse dal Signor Consigliere di Governo, referente d’acque e strade, la pergamena in cui era narrata la solennità che si stava in quel momento compiendo, prima già sottoscritta dalla mano di S. M. e dalle LL. AA. II. RR. i Serenissimi Arciduchi.
Il documento fatto in rotolo fu allora da S. E. il Conte Governatore presentato a S. M., ed Ella lo collocò in un tubo di vetro che fu poi ermeticamente chiuso. In un’acconcia custodia di piombo fu inoltre depositata la medaglia inaugurale, con cui si volle tramandar a’ posteri la memoria di sì segnalato benefizio alla nostra città conceduto, e quivi si chiuse pure una moneta di tutte le varie specie in quest’anno coniate. Questi preziosi monumenti si posero in una nicchia a questo fine preparata, e si coprirono con la prima pietra, intorno alla quale S.M. si degnò di spargere con la cazzuola il cemento, assodandola poscia con tre colpi di martello, cerimonia quest’ultima che fu ripetuta anche da tutti i Serenissimi Arciduchi presenti. Monsignor Vescovo sparse da ultimo con alcune preci l’acqua benedetta sulla pietra, e così la solennità fu compiuta.”
Per l’occasione dunque fu approntata dalla zecca di Venezia una apposita medaglia, la cui esecuzione fu affidata al primo incisore Luigi Ferrari (1772-1844). L’iconografia scelta risultò particolarmente significativa dato che, ai lati della diga, furono rappresentati da una parte una nave a vela (simbolo della tradizione) e dall’altra un vascello a vapore (simbolo della modernità). Autore del motto del rovescio fu l’erudito Emmanuel Cicogna, grande cultore di storia veneziana. Tra l’altro l’imperatore aveva avuto modo di vedere i conii della medaglia durante la sua visita in zecca, il 10 ottobre (vedi “Gazzetta Privilegiata di Venezia” dell’11 ottobre 1838). Attualmente essi sono conservati presso il Museo Correr di Venezia.
La medaglia venne realizzata in bronzo. Furono inoltre coniati pochissimi esemplari in argento, destinati a uno o più membri della famiglia imperiale. Non si hanno notizie di coniazioni in oro; La Collezione Voltolina vanta un raro esemplare in argento (g 87,7), posseduto dall’arciduca Sigismondo d’Austria e finito nei circuiti d’asta nel 1933.
Quanto alla costruzione della diga, essa ebbe luogo tra il 1840 e il 1872. Verificata la bontà del manufatto, Paleocapa progettò nel 1847 anche la diga a sud (quella dalla parte di Pellestrina), ma essa venne costruita solo più tardi, tra il 1852 e il 1872. Negli anni successivi sarebbe stata potenziata la bocca di porto di Lido (destinata a diventare poi la più importante).
Arrivare in treno a Venezia | Ovviamente Venezia era raggiungibile anche dal lato della terraferma, dalla parte del cosiddetto Estuario (Jesolo e Cavallino) o, più a ovest, da quello di Mestre e Fusina; tuttavia la condizione di “isola” della città lagunare, imponeva comunque l’utilizzo di una barca a remi per raggiungere il centro storico. Una situazione tanto gravosa aveva stimolato già nel Settecento (sotto il dogado di Marco Foscarini) l’idea di costruire un collegamento diretto tra terraferma e Venezia; il progetto non ebbe seguito ma venne riconsiderato in epoca napoleonica; altre ipotesi (talvolta stravaganti) vennero concepite tra il 1823 e il 1829.
Nel 1830 l’ingegner Baccanello e il capomastro Biondetti-Crovato, intuendo le grandi potenzialità legate al diffondersi della strada ferrata, elaborarono un progetto finalizzato a portare il treno nel cuore stesso della città, nell’isola di San Giorgio, attraverso un ponte prima e la Giudecca poi. L’ipotesi era decisamente discutibile sul piano sociale ed economico (dato che andava a penalizzare, una volta di più, le zone periferiche della città) ma ebbe il merito di collocare il collegamento nella zona nord ovest della laguna e di associare l’idea del ponte translagunare a quella del treno.
Semmai il problema era quello di non provocare irreparabili danni ambientali alla laguna; per questo il ponte doveva essere costituito non da un terrapieno ma da “un seguito di moltissimi ponti insieme congiunti [… per] non mai arrestare il libero corso delle acque nel loro flusso e riflusso”. (L Facchinelli, “Il ponte ferroviario in laguna”, Venezia 1987, p. 19).
La svolta si ebbe nel 1835, quando Sebastiano Wagner e Francesco Varé presentarono alla Camera di Commercio di Venezia la proposta di una strada ferrata che collegasse Milano a Venezia, comprendendo ovviamente la realizzazione di un ponte translagunare. La responsabilità della realizzazione dell’intera linea venne affidata all’ingegner Giovanni Milani; il progetto del ponte però fu approntato dell’ingegner Tommaso Meduna: l’approvazione risultò molto sofferta e vide il susseguirsi di diversi direttori dei lavori e di continue variazioni del progetto. Alla fine venne stabilito che terraferma e Venezia sarebbero state riunite nelle zone di San Giuliano e Sacca Santa Lucia da un ponte ferroviario lungo m 3602, largo m 9 (sufficienti per due binari) e composto da 222 arcate; la spesa prevista era di £ 4.497.740.
Il 7 aprile 1841 la Direzione – Sezione Veneta – della Società concluse un contratto con l’impresario Antonio Busetto, detto Petich (proprietario, oltre a tutto, del terreno destinato alle prime fondazioni); così, finalmente, il 25 aprile dello stesso anno ebbe luogo la cerimonia della posa della prima pietra, cui partecipò S. A. I. l’arciduca Ranieri Viceré del Regno Lombardo-Veneto, affiancato dal Patriarca Jacopo Monico e dai Governatori di Venezia e Milano. La circostanza è minuziosamente descritta dalla “Gazzetta Privilegiata di Venezia” del 26 aprile 1841: “[…] Nel sito dove il gran Ponte dee prendere principio, e ch’è appunto in una vigna della Sacca di santa Lucia, di ragione del sig. Antonio Petich, quello stesso, che ne assunse il lavoro, s’era innalzato un lavoro elegante con una loggia a terreno da ambe le parti, ed una di dietro. Sotto il padiglione da un lato era l’altare e in sul dinanzi, di prospetto alla Laguna, lo scavo, ch’entrava ben sette piedi in terra, col masso, su cui la pietra consacrata dovea collocarsi. Un tappeto ne vestiva tutta l’interna parete ed il suolo. S. A. I. R. il Serenissimo Arciduca Viceré, di poco preceduto da’ più illustri personaggi, giunse alla riva a due ore pomeridiane e a lui mosse incontro sua Eminenza il signor Cardinale Patriarca col clero, e l’accolsero allo sbarco i presidenti ed i Membri di ambedue le direzioni della Strada Ferrata, che l’accompagnarono fino al sito per lui apparecchiato presso all’altare. Sua Eminenza incominciò allora il sacro rito, inaugurando colla benedizione della pietra fondamentale l’impresa […]. Dopo la benedizione, il segretario sig. Breganze, della Direzione di Venezia, lesse gli atti della fondazione, che in rotolo furono chiusi dalla stessa mano di S. A. I. R. poste egualmente due medaglie una d’argento e l’altra di rame, fatte per tramandare a’ posteri la memoria della consecrazione, e le monete d’oro e d’argento coniate dalla nostra Zecca quest’anno. I documenti preziosi così accomodati, passarono dalle mani del Principe in una cassa e controccassa di piombo, e intanto che gli operai alla presenza degli astanti ne facevano intorno con istagno la saldatura, Sua Eminenza il sig. cardinale Patriarca lesse un eloquente discorso […]. Appresso le quali parole S. A. I. R. accompagnato da sua Eminenza, e dal presidente della sezione Veneta, sig. Reali, al suono de’ canti de’ sacerdoti e della musica banda militare, che faceva eccheggiare l’aria delle sublimi melodie dell’Inno nazionale, discese nel sito della fondazione, e consegnò al masso, nella nicchia a ciò incavata, la cassa de’ solenni ricordi, coprendola della pietra allora benedetta. Più spari d’un legno della R. marina a gran festa imbandierata diedero l’annunzio a’ lontani che il grand’altare era compiuto. S. A. distese allora sull’opera il primo cemento, operazione che fu continuata e perfetta da’ muratori, e quella pietra, su cui ora indarno passeranno i secoli, né sarà più, così speriamo, da mortale occhio veduta, sotto un secondo masso per sempre disparve.”
Dunque per l’occasione venne realizzata una medaglia; inevitabile che un simile incarico spettasse (come nel caso della medaglia della diga di Malamocco) al capo incisore Luigi Ferrari. La rappresentazione offerta è decisamente suggestiva, con l’immagine del treno che percorre il nuovo ponte sullo sfondo della laguna e delle montagne che si profilano all’orizzonte. Anche la scritta propone un contrasto tra tradizione e modernità: alla citazione virgiliana (tratta dall’“Eneide”, VIII, 223: “fugge […] più veloce del vento”) si contrappone il motto augurale legato allo “sviluppo di nuovi commerci”.
Curioso il fatto che la medaglia non riporti alcuna indicazione del suo autore. Questo ha fatto sì che, per molto tempo, essa venisse erroneamente attribuita ad Antonio Fabris (all’epoca operante a Firenze) fino a quando non sono emerse precise indicazioni contenute nella commemorazione funebre del Ferrari, morto il 20 aprile 1844 (cfr. L. Mezzaroba, “Le ultime medaglie di Luigi Ferrari capo incisore presso la Zecca di Venezia”, in “Rivista Italiana di Numismatica, 100 (1999), Milano 1999, pp. 320-326).
Come si è visto, nelle fondamenta furono collocati due esemplari della medaglia in questione, uno in argento e uno in bronzo, ma altri vennero distribuiti alle personalità presenti e altri ancora, con ogni probabilità, messi in vendita nei giorni seguenti. Se gli esemplari coniati in bronzo sono reperibili con una certa frequenza, estremamente rari sono quelli in argento: evidentemente la loro tiratura fu molto modesta.
Di fronte a tanta solennità e alla grande cura usata per murare le medaglie e le monete di fondazione protette da teche sigillate, collocate in casse e “controccasse”, poste in una profonda fossa coperta da due “massi”, suona quasi ironica un’osservazione del Cicogna: “Questa pietra con entrovi monete d’oro e d’argento […] fu collocata propriamente nel sito in cui doveva cominciare il ponte da Venezia alla Terraferma. E’ quindi a maravigliarsi che essendo poscia stata presa un’altra linea per la fondazione del Ponte, la quale diverge 30 metri circa dal primitivo sito, non siasi ancora curato di levare colle formalità e precauzioni dovute la detta lapide inaugurale e collocarla nel nuovo sito ove oggidì è la testa del Ponte.” (E. Cicogna, “Saggio di bibliografia veneziana”, Venezia 1847, p. 724).
Mentre proseguivano alacremente i lavori per la costruzione del ponte, quelli relativi alla linea Milano–Venezia incontravano delle difficoltà, legate soprattutto alla scelta del percorso da tenere nella tratta Brescia-Milano. Finalmente, il 30 maggio 1843, onomastico dell’imperatore Ferdinando I, venne posta la prima pietra della strada ferrata Milano-Venezia. Anche in questa occasione fu realizzata una medaglia da porre nelle fondamenta. La descrizione della cerimonia, presente nella “Gazzetta Privilegiata di Milano” del 31 maggio 1843 (n. 151) è riportata da Arnaldo Turricchia nel suo “Le medaglie di Luigi Cossa”, Roma 2002, pp. 69-70. Turricchia segnala tra l’altro che il busto dell’imperatore è manifestamente “quello inciso da Luigi Manfredini per l’incoronazine di Ferdinando I a Re del Lombardo-Veneto […] però il nome del Manfredini è stato rimosso dalla troncatura del collo.”
Probabilmente a questi anni va ascritta una placchetta, presente nella collezione Voltolina, destinata ad essere fissata, come distintivo, al cappello o alla divisa dei dipendenti della Direzione meccanica di Mestre della Via Ferrata Ferdinandea. La datazione è ovviamente assai problematica, ma dovrebbe collocarsi tra l’inizio degli anni Quaranta del XIX secolo (la tratta Padova-Marghera fu inaugurata il 12 dicembre 1842) e il 1852 (il 9 giugno la I. R. Società Ferdinandea Lombardo-Veneta veniva sciolta e subentravano le Strade Ferrate Statali). Interessante però la notizia presente nell’attento studio di Adolfo Bernardello (“La prima ferrovia fra Venezia e Milano. Storia della Imperial-regia privilegiata strada ferrata ferdinandea lombardo-veneta (1835-1852)”, Venezia 1996, p. 347) secondo la quale fin dai primi mesi del 1842 vennero montate e sperimentate dai tecnici del deposito di Mestre quattro locomotive (chiamate “Italia”, “Insubria”, “Antenore” e “Adria”) munite di “sei ruote [che] provenivano dalle officine meccaniche della Sharp & Roberts di Manchester”. Su un convoglio trainato da una di queste motrici (in tutto simili a quella raffigurata nella placchetta) il 14 dicembre 1842 lo stesso Viceré con la corte volle compiere il tragitto da Padova fino a Marghera.
Tornando però alla costruzione del grande ponte ferroviario translagunare, l’opera fu portata a termine in meno di cinque anni: il 27 ottobre 1845 venne completato il duecentoventiduesimo arco del ponte, il 4 gennaio 1846 si fece la corsa di prova e il giorno successivo fu annunciata sulla stampa l’ultimazione dei lavori. L’11 gennaio l’opera venne solennemente inaugurata alla presenza dell’arciduca Ferdinando d’Austria e dal conte Giovanni Correr, podestà di Venezia.
Tre giorni dopo veniva effettuato il primo viaggio da Vicenza a Venezia; per la circostanza fu approntata un’altra medaglia commemorativa. Al dritto essa presenta un paesaggio con due viadotti: su quello superiore transita un treno a vapore, su quello inferiore vi è un carro trainato da cavalli. Realizzate alcune prove in zinco, apparve evidente che l’immagine era errata, dato che il treno sarebbe dovuto transitare nel viadotto inferiore. L’ulteriore coniazione della medaglia venne abbandonata ed è per questo che il numero degli esemplari in circolazione è limitatissimo.
Il 12 aprile 1857 veniva aperta all’esercizio l’intera linea Milano-Venezia. Nei decenni seguenti risultò chiaro che l’attenzione degli amministratori si era rivolta esclusivamente alle grandi direttrici ferroviarie, mentre erano rimasti esclusi i piccoli centri. Le cose non sembrarono cambiare neppure dopo l’annessione del Veneto all’Italia. Solo il 29 luglio 1879 veniva approvata la “legge di autorizzazione per la costruzione di linee ferroviarie di complemento”. Fu grazie ad essa che poté compiersi il progetto (predisposto, sin dal 1865, dall’ingegner Giovanni Antonio Romano) di una ferrovia che, percorrendo il Basso Friuli e la Bassa trevigiana, potesse stabilire una comunicazione più veloce e vantaggiosa tra Venezia e Trieste coinvolgendo le località situate lungo il suo percorso. I lavori per realizzare il tracciato Mestre – San Donà – Portogruaro iniziarono nel 1880; il 29 giugno 1885 era terminato il tratto fino a San Donà di Piave, e infine, il 17 giugno 1886 l’intero percorso era completato. Nel 1986 il Dopolavoro ferroviario di Portogruaro ha voluto commemorare il centenario di questa ferrovia con una particolare medaglia, modellata sulla forma e le dimensioni di un reale biglietto ferroviario (cfr. P. Voltolina, “Mestre attraverso le medaglie”, Venezia 2001, pp. 114-115).
Dunque, sin dalla fine dell’Ottocento, alcuni convogli venivano fatti partire dalla stazione di Venezia-Mestre in luogo di quella di Venezia Santa Lucia; questo era dovuto spesso alle mutate esigenze del traffico ferroviario su un ponte progettato per due binari. Lo sforzo richiesto era però estremamente impegnativo e l’adeguamento venne rinviato di decennio in decennio. Solo negli anni Sessanta del secolo scorso l’intervento apparve improcrastinabile, anche perché la vecchia base di supporto delle rotaie non consentiva la velocità richiesta dai moderni convogli. Si decise allora di costruire un secondo ponte ferroviario, parallelo al precedete, lungo m 3623. I lavori vennero divisi in due tranche: dal 1966 al 1968 e dal 1970 al 1973. Dal 1977 l’intero traffico ferroviario venne spostato sul nuovo ponte, per consentire il rinnovamento e l’adeguamento di quello originario. Nell’ottobre del 1985 l’opera di “quadruplicamento” era conclusa; “sulla laguna però il paesaggio è cambiato: mattoni e pietra d’Istria sono stati improvvidamente sostituiti e rimossi, lasciando alla vista una lunga linea di grigio e piatto cemento.” (P. Voltolina, “Mestre”, op. cit., p. 112).
Per celebrare la conclusione dei lavori, le Ferrovie dello Stato incaricarono Giuseppe Celeprin, scultore e medaglista veneto, di realizzare una grande medaglia, che fu prodotta per fusione. Accanto agli esemplari in bronzo, ne furono realizzati anche cinque in argento (quello presentato qui, appartiene alla Collezione Voltolina e reca il numero 4). Della medaglia esiste però anche una versione in modulo più piccolo, che risulta particolarmente rara: è noto un esemplare in argento di mm 40 e g 41,6 recante il nome dell’autore nel giro del rovescio (negli esemplari d’argento di modulo maggiore esso è invece inciso nel contorno).