(di Roberto Ganganelli) | E’ stata una delle località maggiormente devastate dal sisma che ha colpito il Centro Italia nella notte tra il 23 e il 24 agosto scorsi: parliamo di Amatrice, piccolo centro in provincia di Rieti simbolo della tragedia che, al momento in cui scriviamo, conta già 292 vittime e 388 feriti oltre a migliaia di sfollati. Alla città che – per stessa ammissione del suo sindaco – “non esiste più” (e che tutti speriamo presto venga ricostruita, com’era e dov’era) vogliamo dedicare un “ricordo numismatico” dal momento Amatrice, l’antica Amatrix, rappresenta una tessera del grande mosaico della monetazione medievale italiana. La città, infatti, elevata a tale rango nel 1486 per volere di Ferdinando I d’Aragona (1424-1494, sul trono dal 1458), all’interno del Regno di Napoli ottenne da questo sovrano – al pari di altri centri – il privilegio di battere moneta.
Il re, in particolare, volle premiare la fedeltà di Amatrice nel corso della sanguinosa Congiura dei Baroni fomentata da papa Innocenzo VIII (1432-1492, papa dal 1484) e Amatrice, in seguito, proseguì nella battitura di moneta anche sotto Federico III d’Aragona (1452-1504, sul trono dal 1496 al 1501). L’unico tipo monetale emesso fu il cavallo in rame, conosciuto in diverse varianti. Come riporta la fondamentale opera di Alberto D’Andrea e Christian Andreani “Le monete dell’Abruzzo e del Molise”, “le monete sono comunque ascrivibili a due diverse tipologie: quelle che al rovescio riportano la scritta FIDELIS AMATRIX e quelle che recano la lettera M, iniziale dello zecchiere Salvatore Miroballo, incastonata tra due rosette. Le monete, poi, possono presentare o meno lo scudo araldico della città: un crocifisso su un campo libero. E’ comunque il caso di riportare la teoria secondo cui le monete che riportano solo la lettera M, senza FIDELIS AMATRIX o lo scudo della città, sono una semplice variante della zecca di Napoli; a nostro avviso, anche a seguito di un raffronto stilistico fra monete coniate a Napoli con quelle realizzate nella città abruzzese, si tratta di esemplari di Amatrice”.
Tutti i cavalli di Amatrice sono molto rari, alcuni di estrema rarità; anche per quanto riguarda la documentazione e le sedi di zecca, del resto, le conoscenze sono frammentarie. Giuseppe Ruotolo, nella scheda dedicata all’officina di Amatrice in “Le zecche italiane fino all’Unità” scrive che il diploma di concessione venne rintracciato da Salvatore Fusco nell’Archivio di Stato di Napoli agli inizi del XIX secolo ma che lo studioso lo riporta solo sinteticamente, “giacché non conteneva pertinenti riferimenti numismatici”. Per quanto riguarda gli esemplari di cavalli di Amatrice in collezioni pubbliche o storiche, Ruotolo cita invece i due del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, uno passato nel 1880 dalla collezione Tafuri alla Gnecchi, nonché quelli posseduti a suo tempo dal Sambon e quelli della collezione di Vittorio Emanuele III.
Sul mercato, altrettanto sporadici sono i passaggi di queste monete il cui diametro varia dai 16 ai 20 millimetri, per un peso dagli 1,10 ai 2,00 grammi. Battuti in rame, secondo l’antica tecnica della coniazione a martello, i cavalli per Amatrice a nome di Ferdinando I riportano sul dritto il ritratto a destra del sovrano, con corona radiata e nome FERRANDVS REX intervallato variamente da puntini o cerchietti; al rovescio la legenda FIDELIS AMATRIX oppure AEQVITAAS REGNI, anche queste con varianti di interpunzione, rosette e in alcuni casi la lettera M identificativa dello zecchiere. Nel campo un cavallo gradiente a destra con lo stemma civico e/o una rosetta, a seconda delle varianti. Simile il cavallo a nome di Federico III, salvo per il nome del sovrano (FEDERICVS REX con cerchietti) e noto, anche questo, con diverse varianti di legenda e segni (tra i quali, da notare la L tra due stelle a sei punte al posto della M tra rosette, in esergo al rovescio).
Per maggiori dettagli e la bibliografia completa sulle monete di Amatrice si vedano l’opera di Alberto D’Andrea e Christian Andreani “Le monete dell’Abruzzo e del Molise”, pp. 174-183, la guida “Le zecche italiane fino all’Unità”, pp.468-469.