(di Michael Matzke) | “Gefälschte Antike? Die Paduaner und die Faszination der Antike”: questo è il titolo della mostra numismatico-medaglistica che è stata inaugurata a Basilea presso l’Historisches Museum für Geschichte il 29 gennaio e che rimarrà visitabile al pubblico fino al prossimo 8 maggio 2016. L’idea da cui è nata l’esposizione sta tutta in una domanda: “Come mai si è sempre cercato di far rinascere l’antichità?”. Già nel Medioevo, imperatori e re traevano legittimità da una tradizione risalente agli imperatori romani, particolarmente gli imperatori del Sacro Romano Impero da Ottone I di Sassonia (962-973). Anche le città, del resto, facevano a gara vantando più o meno fantasiose origini antiche già nel Medioevo. Ma fu tra la fine del ‘300 e poi, soprattutto, nel ‘400, che si verificò quel fenomeno culturale ed artistico unico – mosso dal desiderio di riscoperta dell’antico – che prese il nome di Rinascimento.
L’antichità e le opere antiche non erano solamente un ideale estetico, ma i miti e personaggi antichi erano anche esempi (“exempla”) di vita e virtù che si riproponevano nel presente. Così, nobili e ricchi cittadini facevano collezione di oggetti antichi, tra cui anche le monete, per studiarli meglio, ma anche per prestigio. Un altro modo di “appropriarsi” della bellezza e della magia degli oggetti antichi era studiarli attraverso l’imitazione, cioè copiare questi oggetti cercando addirittura di superarli esteticamente e tecnicamente.
Uno dei maggiori centri di studio dell’antichità era Padova, la città universitaria della Repubblica di Venezia. Padova era anche un centro importante nell’imitazione di opere antiche che offriva sia statuette “all’antica” da collezione, stilisticamente e anche tecnicamente perfette, sia copie di sesterzi antichi, allora considerati le monete romane più belle, i cosiddetti “padovani”. Queste medaglie vennero realizzate in maniera perfetta, per primo, da Giovanni da Cavino (1500-1570), un orefice padovano.
Il Museo Storico di Basilea (Historisches Museum Basel) dispone di un nucleo eccezionale di medaglie rinascimentali proveniente di una collezione messa insieme nel corso del ‘500. Si tratta della collezione dell’antiquario e medico della duchessa di Savoia, Ludovic Demoulin de Rochefort (1515-1582) che si trasferì a Basilea e vendette la sua raccolta all’amico Basilius Amerbach (1533-1591), professore di giurisprudenza, noto esperto e collezionista di monete. Egli fondò il cosiddetto “Amerbach-Kabinett”, uno dei primi “Kunst und Raritätenkabinette” in mano privata; più tardi acquisito per l’università della città, l’Amerbach-Kabinett divenne il nucleo principale delle collezioni pubbliche di Basilea.
Rochefort aveva studiato, tra l’altro, a Padova, fu consigliere del duca di Savoia per l’istituzione di un “museo universale” ed era in buoni rapporti con i medaglisti della sua epoca, sicché esistono ancora ben quattro medaglie diverse con il suo ritratto, tra cui anche opere di Ludovico Leoni (1531-1606) e Giovanni da Cavino (1500-1570), entrambi attivi proprio a Padova.
La collezione del Rochefort consiste soprattutto di medaglie contemporanee del ‘500, tra cui opere di Leone Leoni, Iacopo da Trezzo, Antonio Abbondio e diversi artisti del Manierismo, come pure di tante medaglie “all’antica”, come quelle di Valerio Belli e di Alessandro Cesati. Fa parte di questa collezione anche una serie quasi completa di pseudo-sesterzi romani di Giovanni da Cavino, i cosiddetti “padovani”, esemplari sia coniati sia fusi, quelli ultimi anche con patina “all’antica”.
Queste “medaglie padovane” divennero talmente note e richieste da essere copiate e rifuse fino al XIX secolo. Divennero, in tal modo, le imitazioni più comuni di monete antiche ed esistono ancora in gran numero in tante collezioni pubbliche e private. Ne segue, però, il problema – finora non risolto – di capire se fossero prodotte come falsi per ingannare i collezionisti oppure come “copie antiquarie” per il godimento dell’arte antica. Lo stesso problema si pone nel caso delle statuette “all’antica” provenienti anch’esse, per la maggior parte, da fonderie padovane.
Così la mostra di Basilea ha il doppio fine di inquadrare la produzione di opere d’arte “all’antica”, come le medaglie e le sculture padovane, nel loro ambiente storico e culturale, e di presentare per la prima volta quest’eccezionale serie di medaglie padovane originali come punto di riferimento per la classificazione di queste opere rinascimentali, molto comuni e al tempo stesso poco conosciute.
Le ricerche preliminari effettuate offrono inoltre nuovi dettagli intorno alla produzione di questi oggetti, tra cui i risultati delle analisi metallurgiche e una serie di nuove classificazioni. Allo stesso tempo si ripropone la “questione del Rinascimento”, cioè il desiderio di comprendere come mai si copiavano le opere d’arte antica in maniera talmente fedele. In più, la mostra offre l’occasione di confrontare il movimento rinascimentale e il collezionismo antiquario in due città famose per la cultura antiquaria nel XVI secolo, cioè Padova e Basilea.
Gli oggetti sono disposti in una serie di teche inserite lungo il percorso della mostra permanente, spesso avvicinati ad oggetti simili o complementari. Le aree tematiche vanno dal collezionismo rinascimentale a Padova e Basilea, con particolare attenzione ai collezionisti Marco Mantova Benavides (1489-1582), Ludovic Demoulin de Rochefort e Basilius Amerbach. La mostra include anche lo sviluppo della numismatica attraverso le prime pubblicazioni sulle vite illustrate dei cesari fino ai primi manuali del tardo ‘500, e fornisce un’impressione sulla presenza dell’antichità in quasi tutte le epoche.
Una buona parte della mostra è dedicata quindi ai temi di interesse rispecchiati dai motivi iconografici delle medaglie “all’antica”, dai “dodici cesari” a divinità ed eroi greci e romani, filosofi e generali antichi, fino a personaggi eccezionali come Antinoo, l’amante dell’imperatore Adriano, e anche tante donne, in parte oggi sconosciute, che rappresentavano particolari virtù.
Indagini intorno alla realizzazione delle medaglie padovane vengono presentate in maniera multimediale insieme agli esemplari corrispondenti e sorprende abbastanza vedere quante e quali raffinate tecniche siano state adottate per ottenere un risultato perfetto. Uno dei risultati più importanti in merito alla questione del potenziale “crimine” delle “medaglie padovane” è il fatto che tanti “padovani” originali risultano riconiati su sesterzi antichi, anche se poi sono ben riconoscibili come prodotti rinascimentali: una simile prassi di produzione sarebbe stata poco economica per un falsario, ma è invece un buon segno per dimostrare la superiorità dell’oggetto rinascimentale rispetto al sesterzio antico riconiato.
In conclusione, i grandi maestri della maniera “all’antica”, Valerio Belli, Alessandro Cesati e Giovanni da Cavino, e le loro opere a Basilea sono al centro dell’attenzione, con le loro opere poste accanto alle vetrine della mostra permanente che presentano altre medaglie rinascimentali e, come in una vera e propria indagine comparativa, bei sei modi diversi di falsificazione, quali termini di confronto con la fattura dei “padovani”.
La mostra, perciò, si propone di fornire un modo semplice per capire il significato e l’origine di una categoria davvero speciale di opere rinascimentali, come pure di facilitare la comprensione di quel processo – molto complesso – che fu la riscoperta e l’appropriazione dell’antichità nel Rinascimento. Un catalogo ragionato, basato sull’inventario di oltre 430 esemplari conservati nel museo elvetico e con numerosi saggi introduttivi, è in preparazione. La Barfüsserkirche, sede dell’esposizione, si trova in Barfüsserplatz a Basilea, nel centro della città. La mostra è aperta fino all’8 maggio 2016, dalle 10.00 alle 17.00 dal martedì alla domenica.
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